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Type de textesource
TitreFarfalloni degli antichi historici
AuteursLancelloti, Secondo
Date de rédaction
Date de publication originale1636
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, "Che due valentissimi dipintori, mancando loro non so come di far bene la spuma nella bocca d’un cane, e d’un cavallo, gittando irati una spugna nella tavola, la facessero ; e che ad un sonatore di citara, rompendosi una corda, una cicala volandovi supplisse al mancamento" (numéro Farfallone XCIX) , p. 495-498

Per FARFALLONI battezzo i proposti, che sono stati creduti da ognuno fino ad ora, se non m’inganno. [[1:Plut. de Fort. Val. M. li. 8 cap. 11]]. [[2:Spuma fatta a caso da un dipintore nella bocca d’un cavallo]]. Ebbero origine per quanto raccolgo da Plutarco e Plinio da voler dire qualche cosa, o caso di buono proceduto dalla Fortuna. Anzi Plutarco chiaramente dice, che questo esempio è singolare. Come fù ? Fù che avendo un dipintore fatto un bel cavallo corrente, et annelante voleva c’avesse attorno alla bocca ancora della spuma, accioché fosse in tutto al naturale, ma non sapeva trovarla a suo modo, quando dall’impazienza, e collera prese una spugna, che quivi era usata, e tinta di diversi colori, e trattala nell’opera, la colse nel luogo appunto, nel quale voleva rappresentare la spuma, e vide seguito l’effetto senz’arte del desiderio suo. Plutarco non pone il nome di colui, ne meno Valerio. Plinio scrive, que fù Nealce. Ma Dione Crisostomo [[1:Dion. Crys. er. 64]], che fù Apelle. A chi ha da darsi fede ? Plinio aggiunge l’istesso caso essere avvenuto a Protogene in un cane, ch’egli tentava di far comparire, come stracco, e dansante. Se vogliamo ammettere tutti, e casi, potiamo lasciar passare quest’ancora, e tacere. Ma io quando a me sento delle difficoltà grandi a fare il bollettino, e dare il passaporto a quest’historia, e n’ho sospetto maggiore, che non hanno i guardiani in questi tempi di peste, quando veggono venire da paesi, che fù contagioso, e non ha troppo buona cera in viso, che non sia FARFALLONE. Di Plinio e di Valerio ho io un concetto così fatto. Dimandai una volta ad un dipintore, se gli pareva possibile, ma non mi ricordo quello che mi rispondesse. Può ciascheduno da se stesso facilissimamente informarsene. Ancorche si è tanta la riputazione, che l’istorici antichi hanno si acquistato, che o non è dubitato della verità de’ loro detti, o se pure girava qualche dubbio per la mente d’alcuno, l’hanno scacciato via quasi una tentazione a qualche sacrileggio, o almeno non hanno avuto ardimento d’affermare liberamente contra di loro. Si che i maestri di quest’arte interrogati, l’andaranno masticando per avventura un poco. All’udire di detti istorici pare, che la spuma del cavallo, o del cane sia qualche passo di Malamocco nella dipintura, di maniera che quando uno sapesse farla, sarebbe giunto al colmo, e doverebbe essere divenuto in proverbio, quando si volesse ingrandire il profitto fatto da un giovanetto per qualche tempo alla scuola. Ha imparato così presto che già sa fare la spuma del cavallo, e del cane, e pure penso che sarebbe una sciochezza estrema il dirlo, e far ridere particolarmente quegli artigiani. Come dunque i Nealci, Protogeni, gli Apelli non sapevano dipingerla ? Bisogna in oltre vedere se per quella facitura vi cogliono tutti e colori. Tutti erano in quella spugna, pre ira spongiam ut era plena pigmentorum in tabulam coniecisse, Plutarco, spongiam omnibus imbutam coloribus iuxta se positam apprehendit et veluti corrupturus opus suum tabulae illisit, Valerio. Come poteva essere inzuppara in tutti e colori, se la spugna s’adopera per nettare, e poi si mette da parte, e viene a disseccarsi, o questo, o quello, o nell’acqua od altro liquore solo, che la lava da tutti gli altri ? Che hanno da fare il verde, il rosso, il turchino, ed altri colori accesi per la rappresentazione della spuma, ch’è tutta bianca ? Quel tirare così giusto, e di mira ch’andasse a colpire nella bocca di quegli animali, e sunito senz’altro pennello avesse le sue ombre, e’l suo luogo, che paresse spuma naturale ? FARFALLONE. E alquanto simile a questo causale avvenimento quello, che più volte intesi dire, e poi ho letto in Strabone [[1:Strab. li. 6]], non poeta, ma istorico, o cosmografo, che rottasi una corda nella citara d’un sonatore, ecco una cicala a porvisi sopra, e proseguire per mancamento di quella corda in ogni modo. O bel cicalamento appunto è questo, e bello.  [[2:Eunomo sonatore famoso. Cicala colata sopra una corda d’un istromento rotta suplisse a quel suono]] Importa che ciò non accade nell’Indie, ma nella nostra Italia appresso Locri nobilissima già città della Magna Grecia, o Calabria, e’l sonatore chiamossi Eunomo, e meritò non so se per l’eccellenza sua, o per amore della cicala, che gli fosse alzata la statua, che al tempo di Strabone vedevasi. Nam cum inter certandum chordarum una fracta defecisset, cicada supervolans adstitit, quae supplementa vocis faceret. Dove c’immaginiamo noi, che si fermasse quella cicala su’l manico, o su’l corpo dell’instromento sù i tasti, o sù i biscati, dove ? Io non arrivo a specolar tant’alto, mi rimetto a certe buone creature c’hanno il cervello pastoso, che d’ogni figura, cioè FARFALLONE sono capevolissimi ; confesso la mia grossolanaggine, e ruvidezza. C’ha da farsi bisogna aver pazienza, e comportarsela al meglio, che puossi in questo mondo. Dato che tutti l’istorici antichi preedessero, che tutti che per tante centinaia d’anni dovevano fare a’ loro farfalloni buon’accoglienza, e c’hora si ritrovassero in luogo dove potessero ridersene, non l’hanno indovinata meco qual’io mi sia, che con un palmo di bocca mi rido d’essi, ed insieme (che paradosso !) non ha veruno, che più forse di me leggesse, o legga, e ricerisca, e celebri le lor fatiche.

Dans :Protogène, L’Ialysos (la bave du chien faite par hasard)(Lien)

, "Che due valentissimi dipintori, mancando loro non so come di far bene la spuma nella bocca d’un cane, e d’un cavallo, gittando irati una spugna nella tavola, la facessero ; e che ad un sonatore di citara, rompendosi una corda, una cicala volandovi supplisse al mancamento" (numéro Farfallone XCIX) , p. 494-495

[[1:Plin. L. 35 cap. 10 Dipinture antiche al vivo. Val. M. li. 8 cap. 1]] Di molte rare dipinture abbiamo da Plinio in particolare gran memorie, come dell’uve di Zeusi, alle quali per beccarle volarono gli uccelli, del velo di Parrasio, che’ngannò l’istesso Zeusi ; d’una cavalla, che mosse un cavallo ad annitrire ; d’un cane alla cui vista abbaiarono i cani ; e d’un toro, che vedendo una vacca di bronzo si mostrò incitato alla libidine appresso Valerio Massimo, che fà le meraviglie al solito, e stima che fosse maggior cosa in ogni modo, ch’un giovane sentisse titillazione all’aspetto d’una statua di marmo rappresentante una bella donna, che detti animali si commovessero a dipinture tali, io giudico il contrario, se fossero state vere ; come nell’hoggidi de gl’ingegni nel Disinganno dela Pittura discorrerò, piacendo al Cielo, più a lungo. Non asserisco, che quei racconti delle dipinture accennate sieno FARFALLONI apertamente, ma così fra’ denti. Ben vero è che parmi, che mentre gli scrittori vogliono amassar sù, ed empire le carte di quanto Dio sa come, e donde intesero si contradicano, o deroghino all’eccellenza di quelli ch’innalzavano fino alle stelle. Non parlo di quello, che riferisce Eliano [[1:Ael. li. 10. v. h. c. 10]], cioè che’n quel principio, che cominciossi a dipongere i dipintori scrivevano sotto alle loro opere, questo è un bue, questo è un cavallo, od altro che fosse, accioché si discernesse. Cum ars pingendi iam ortum duceret, et quodammodo in lacte fasciisque versaretur, adeo rudi, et impolito stylo depinxerunt animantia, ut ad scribere ad ea pictores necesse esset, Hoc est bos, illus equus, hoc arbor ; che appresso di me d’essere riputato uno de solenni FARFALLONI, ch’io habbia quì registrato, ne voglio badare più a trattenermici, tanto è vergognoso.

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